Prima di un ago nel braccio

Caro uomo che attraversi la mia vita, cara donna che incroci la mia strada,
quante volte mi hai guardato come se avessi qualcosa tra i denti? Te ne accorgi, stai davanti a me, la vedi. Fai finta di non badarci, ma mentre ti parlo l'occhio cade proprio lì. Non sai cosa fare, non sai se dirmelo o continuare a far finta di nulla, ma il tuo sguardo ti tradisce, tradisce la tua incapacità a essere o dentro o fuori. Ti fa quasi ibrido, un po' a disagio e un po' in fondo cosa mi importa?

Se non ci sono parole davanti alla morte, dobbiamo urlare alla vita

Strada Sannicola-Galatone. La mezzanotte è passata da più di quaranta minuti e il cielo è nero, di quel nero tipico dei giorni che si concludono nel silenzio dell'inspiegabile.
Ma a un tratto si accende una bellissima scia di fiammelle a solcare il manto scuro. Sono le lanterne a cui in genere si affidano i desideri, i sogni e un po' di magia. Tra quei bagliori del cielo immaginare che a terra da poche ore si sia consumata una tragedia sembra assurdo.

"Quello strazio che non si può dimenticare. Chissà cosa ricorderà la piccola Asia..."

La forza di parlare, nonostante il buio dell'anima, è tutta nel desiderio di non lasciare che una tragedia come quella del terremoto dello scorso 24 agosto spenga presto anche le più flebili speranze di rinascita e rimanga solo una data sui libri di storia.
"Quello che abbiamo visto è indescrivibile - dice Manuela Mandorino, nipote di Marisa Marra, la 62enne originaria di Galatina che ha perso la vita ad Amatrice in quella notte infame - non c'è più nulla, solo detriti, polvere, cumuli di macerie".

Tempo senza tempo

Come un dopo che non c’è, come un prima mai stato, come l’ora che fu, spezzata nel ticchettio, fermato a quel momento.
Tempo senza tempo da scandire, lancette sinistre, lame incrociate di spadaccini senza nobili scopi, senza donzelle da salvare, ma solo vuoti da creare.
Ogni catastrofe ha il suo “tempo senza tempo”, ha il suo orologio che ha smesso di attendere, promettere, ricordare, fingere, esaltare.

Sotto il saio niente

Si gridi pure alla blasfemia, si chiudano pure gli occhi e ci si tappino le orecchie. Accostare la parola “sesso” alla parola “convento” può facilmente apparire un’eresia, ancora più plateale se il convento in questione è quello di Padre Pio.

La tragedia. E il suo contorno.

Se vi si è strappato qualcosa dentro, se quel boato non ha raggiunto le vostre orecchie, ma in qualche modo dal momento dello schianto le mani hanno iniziato a tremare e vi si sono riempiti gli occhi di lacrime, smettete di cercare dovizia di particolari su questo o quel morto. Lasciate stare i commenti di chi arriva sul posto prima di tutti non per raccontare, ma per curiosare. Non fatevi impietosire dai filtri che mettono per dire quello che dicono, dai ricami con cui caricano la notizia per renderla sceneggiatura di un film improvvisato.

L'attesa di un ritorno

Acqua,
sete di una follia da sedare,
di un amore da placare,
di un santo da invocare.
E la musica che si inietta come morso
nelle vene infettate di veleno
da lasciare sul cornicione,
da schiacciare sull’altare.
A piedi scalzi,
come uva nei tini.
Chi prega
toglie il diavolo dal corpo,
chi canta
sogna baci di grano
e sole di giugno.
Antidoto del cuore
urla e salti e balli.
E poi il silenzio
di un’attesa.
Tornare
in sè.

 

Se non fossi una brava persona

Ecco. Ci risiamo. Un altro "sono" che diventa un "ero". Ero una donna, ero una madre, una figlia, una sognatrice, un'imperfetta come tutti, una desiderosa del bello e buono come la maggior parte.
E tu, uomo, non nasconderti adesso dietro la follia. Può essere nobile arte quando stimola la creatività, ma non può diventare alibi di distruzione. Non più.

Preferire il cielo alla terra

Non ho visto nulla, se non qualche angolo di luce attraverso i tuoi occhi. Non ho ascoltato nulla se non il rumore quasi sibilato dei tuoi sorrisi mentre sognavi di me, per me. Con me.
Non ho detto una parola, raccontavi tu di quello che sentivi immaginando cosa potessi sentire io. Perchè io non sentivo nulla o forse semplicemente non sapevo cosa sentire. Non capivo.
Mi cullavo, senza comprendere perché mi venisse naturale seguire quel battito di cuore. Ero piccolo, troppo piccolo.

Basta un bacio

Sul muro da cui penzolo, monco, cammina ogni sorta di verme. La campagna, nel suo isolamento dalla città e dai suoi fronzoli, lo alimenta di silenzio. E quel verme si sente libero di passare sopra le mie braccia livide, accanto al mio capo trafitto, alla mia pancia che non ha più ventre.
Sono qui da tanti anni, occhiata veloce di un contadino che accenna al segno sacro prima di consumare il suo piatto di legumi, prima di tornare alla sua terra e al suo muto dovere. Ora neanche quello. Buio e solitudine per le mie piaghe dimenticate.