Caro uomo che attraversi la mia vita, cara donna che incroci la mia strada,
quante volte mi hai guardato come se avessi qualcosa tra i denti? Te ne accorgi, stai davanti a me, la vedi. Fai finta di non badarci, ma mentre ti parlo l'occhio cade proprio lì. Non sai cosa fare, non sai se dirmelo o continuare a far finta di nulla, ma il tuo sguardo ti tradisce, tradisce la tua incapacità a essere o dentro o fuori. Ti fa quasi ibrido, un po' a disagio e un po' in fondo cosa mi importa?
Ecco, quando mi guardi spesso mi sento così, tra l'incudine della compassione e il martello dell'indifferenza.
E quando non lo fai? E quando non scavi nei miei occhi e cerchi di andare oltre? Sono già fantasma de carico che mi porto addosso, fardello pesantissimo di paure e incertezze.
Sono malato, non cerco parole differenti per descrivere la mia condizione. Ma sono uomo, proprio come te. Sono donna, proprio come te. Con una spada di Damocle sulla testa, un piede troppo vicino al burrone, ma ancora capace di vivere.
Non so per quanto e non so come questo tempo trascorrerà nella mia lotta arrabbiata, spesso arrendevole, quotidianamente difficile, con il male.
Ti chiedo di amarmi prima ancora di aiutarmi, di pensare che al mio posto potresti esserci tu o potrebbe esserci un tuo caro, di starmi accanto proprio perché sono uomo o donna come te, prima ancora di essere un paziente.
Allora fatti "paziente" anche tu, sopporta con me una condizione che nel rimescolare le carte dei miei equilibri, in qualche modo tira in ballo anche i tuoi perché non siamo soli su questa terra, né io né tu.
Prima di un ago nel braccio, vorrei una carezza sul viso; prima di una sentenza di morte, correi farmi una risata con te, condividere un'ora di svago, provare ad alimentare la speranza. Non è illusione, è consapevolezza di ciò che si è, di ciò che sta accadendo, di ciò che accadrà. E desiderio di non lasciarsi andare come se tutto fosse finito a priori.
Sia benedetta la scienza, siano benedette la medicina e la ricerca che a questa speranza danno periodicamente una pennellata di azzurro su un quadro troppo nero. Ma sia benedetta la relazione umana che travalica sesso, ceto sociale e cultura e diventa abbraccio e sostegno imprenscindibile.
Sia benedetto l'uomo che sei, sia benedetta la donna che sei. Sia benedetto il cuore che hai e che hai deciso in parte di donarmi e che batte nella mano che stringe la mia.
Domani mi auguro di trovarti ancora qui. Abbiamo ancora tanto da dirci e tanto da fare. Insieme.
Lettera che si immagina scritta da un/una malato/a di tumore a un medico, a una dottoressa, a un infermiere, a chiunque entri in contatto con il cancro, soprattutto attraverso gli altri.
Letta e distribuita venerdì 23 settembre scorso durante il "III Convegno di Gastroenterologia Oncologica" tenutosi a Galatina presso l'Hotel Hermitage.