Non ho visto nulla, se non qualche angolo di luce attraverso i tuoi occhi. Non ho ascoltato nulla se non il rumore quasi sibilato dei tuoi sorrisi mentre sognavi di me, per me. Con me.
Non ho detto una parola, raccontavi tu di quello che sentivi immaginando cosa potessi sentire io. Perchè io non sentivo nulla o forse semplicemente non sapevo cosa sentire. Non capivo.
Mi cullavo, senza comprendere perché mi venisse naturale seguire quel battito di cuore. Ero piccolo, troppo piccolo.
Santo nel nome che avevi già scelto, nato senza mai nascere veramente. Un desiderio mai espresso fino in fondo, un perché senza prima e senza dopo.
Quando ti ho lacerato l’anima nel mio mettere le ali, ho straziato il tuo corpo nel dolore, ferendoti la mente che aveva smesso di viaggiare e che non sa adesso che strada intraprendere. Se. Forse. Chissà. Ora no.
Sono angelo da prima che tu scoprissi che non sarei mai stato bambino. E sono grato. A te che mi hai stretto al petto senza guardarmi e hai trovato il coraggio di lasciarmi andare. A voi che avvertite il vuoto, ma non immaginate come lo stia riempiendo il mio spirito che via ama anche per aver preferito il cielo alla terra. Il paradiso all’inferno. Sì, sarebbe stato l’inferno. Sarebbe stato non essere. Adesso invece io sono.
Madre, per la prima volta e per tutta la vita, anche senza un abbraccio al frutto di un amore senza tempo, felice e difficile, come lo sono tutti i legami autentici. Piangi, ma non devi disperare.
Mi hai reso immortale con un gesto estremo di dedizione e privazione insieme.
E io ho reso te una roccia scavata da una goccia. Forte e tatuata, sulla pelle il segno invisibile di un infinito che non ha un inizio e si perde nel domani in cui sono presente, anche se non mi tocchi.
Ti ho toccato io dentro. E ti ho cambiata per sempre.
valentinachittano.it
(foto in evidenza tratta dal libro Strabismi, cap. Silenzio, tutti i diritti riservati)