Jorge Luis Borges non è solo uno scrittore straordinario, ma anche un grande lettore e un critico letterario come pochi, oltre che un conferenziere onnipresente…Lavorando di immaginazione, facciamo conto che egli, dopo avere donato generosamente l’occhiello alla Teoria del vuoto (Besa, 2017), mi stia vicino in questo difficile compito di recensirlo, come fossi uno scolaretto alle prime armi. L’idea forse insana mi viene come in automatico dopo avere letto l’interpretazione fluida di Luca Valente, pubblicata qualche tempo fa sulle vostre pagine.
La prima cosa da dire è che non credo di essere un vero scrittore: se lo fossi, la povertà delle parole (e delle pagine) mi contraddistinguerebbe, con un bisogno narrativo che irrompe solo in modo intermittente nella mia esperienza di vita, dando luogo a manufatti letterari dei quali ho avuto anch’io in certi momenti la sensazione di stupirmi, tanto si allontanano a volte dal mio quotidiano, con intrecci straniti e talora labirintici nei quali è capitato anche a me di perdermi.
Se mi è permesso, accetto dunque solo con riserva la definizione di cardiologo-scrittore che Luca mi attribuisce, per me troppo onorifica, sempre che non comprenda la parte strettamente legata al mio mestiere . Quest’ultimo è probabilmente la fonte di tutto: non credo che avrei scritto pagine di narrativa se non fossi guidato da un istinto di pura testimonianza . Se comunque la scrittura non è esperienza facile per nessuno, per me difficile lo è ancor di più : cercare ciò che hai dentro , viaggiare nell’io più sconosciuto, spogliarsi di ogni mania dissuasiva, interrogare solo la propria anima, accidenti quanto è dura!
Non aveva torto in fondo il mediterroneo (Capone, 2015): quando scrivi, diceva, non sai dove ti porterà la strada delle parole: se incontrerà miseria, se conoscerà abiezione, felicità, omicidio, temporale, mistero, se si perderà nei meandri dell’intreccio o se la strada sarà dritta come un fuso, fino alla parola fine.
Chi scrive sa che la sua creatura è come la vita: non sai mai quello che viene dopo. Ecco dunque la sensazione strana che ti prende quando senti che devi scrivere, e cominci pure, ma hai l’ignoto davanti, non sai come verrà la tua creatura.
Se vogliamo, raccontare e scrivere sono due cose differenti: nella prima hai uno scenario più chiaro davanti, nella seconda hai il mondo intero, la storia tutta, le infinite vicende umane e poi i modi di pensare, infiniti anch’essi, devi dare una struttura e un intreccio a tutto, che collimi con la tua idea. Se questo incantesimo si verifica, ognuno può scrivere e magari stupire se stesso e sentirsi a volte soddisfatto, editoria permettendo.
Peraltro viviamo in un mondo strano che apparentemente rende la scrittura più difficile (no carta, no penna, cristalli liquidi, smart phone, facebook, pochi libri, ecc…) , ma paradossalmente aiuta la scrittura perché dà più occasioni, più comunicazione, il privilegio comunicativo di pochi è ora di tutti. Conosco comuni qui nel Salento, ove un social network ha unito un paese, in una fratellanza sincera e preziosa, ove tutti scrivono dai posti più disparati, in una ricerca di parole e immagini che a volte mi ha emozionato e una volta all’anno fanno per la strada una festa tutti assieme.
Per me, al di là delle presunte insufficienze lessicali di massa tanto sbandierate ai quattro venti - in modo poco ossequioso verso i giovani universitari- ci sono ora più scrittori che lettori, e questo non è male. Forza dunque! Sperando che la scrittura valga a stemperare quest’odio strano che si è impadronito del mondo: odio anti-islam, anti occidente, anti-cristiano, anti-diverso, anti-europa, anti- euro, anti-migrante, anti-sistema, anti-costituzione, anti-vecchio, anti-saggio, un’insensata fregola rottamatoria generalizzata , mi chiedo perché, quando persino Abele disse a Caino: tu hai ucciso me o io ho ucciso te? Il che delinea orizzonti di comprensione e convivenza e fa del perdono un’opzione percorribile sempre e comunque. Non vedo ragioni vere di odio, vedrei meglio una fratellanza universale o meglio un’amicizia vera di quelle che ti mettono aria pura nei polmoni. Troppi i carnefici tra esseri in fondo umani.
Un bel consiglio sarebbe che ogni potenziale carnefice inverta magicamente il passato col futuro e faccia conto di avere già compiuto l’impresa atroce che si prefigge: forse vedendo la sua impresa derelitta sarà dissuaso dal compierla, l’umanità che gli è attorno sarà salva e anche egli sarà contento di scoprire che la sua atrocità era solo un sogno…Questo ha a che fare con la teoria del vuoto: non sono dunque fuori tema, lo dico per i bacchettoni lessicofili. Questo romanzo, dunque, questa teoria del vuoto, è uno scritto relativamente lineare e questo mi preoccupa perché sulla terra non c’è nulla di lineare e non vorrei che il mio scritto non gli appartenesse. Nel Mediterroneo c’è un turbinio di questioni che avvolgono la realtà e non offrono soluzioni ma enigmi sui quali riflettere.
Nella Teoria del vuoto ci sono tante soluzioni e l’enigma è sfuggente, un segreto custodito dalle pagine, con sprazzi a tinte fosche per una tragedia che si muove sullo sfondo ben rappresentata dalla copertina del libro, decisa in toto dal bravo editore, ma ho l’impressione che ci sia come una luce che pare rischiarare le parole scritte , anche quelle scure, come se venisse dallo ionio accecato dal sole del pomeriggio, come se ci fosse una specie di bellezza immaginaria, la gioia dello scrivere e dopo tutto anche del leggere.
Un avvincente incontro tra scienza e giallo