Incidenza della SLA più bassa nelle popolazioni con origini miste

Lo dimostra uno studio internazionale guidato da Giancarlo Logroscino, direttore del Centro per le Malattie Neurodegenerative e l’Invecchiamento Cerebrale dell’Università di Bari dell’ospedale “G. Panico” di Tricase

Avere un’origine etnica mista diminuisce le possibilità di contrarre la SLA (Sclerosi laterale amiotrofica), una malattia che colpisce in Puglia tra le 120 e le 130 persone ogni anno e in Italia circa 1.800. A queste conclusioni si è giunti grazie allo studio internazionale ‘Laenals’ guidato dal professor Giancarlo Logroscino, direttore del Centro per le Malattie Neurodegenerative e l’Invecchiamento Cerebrale dell’Università di Bari dell’ospedale “G. Panico” di Tricase, e dalla professoressa Orla Hardiman, full professor di Neurologia alla Trinity College University di Dublino.
Lo studio osservazionale è stato condotto in America Latina, per la precisione in Cile, Cuba e Uruguay, segnando anche un primato per essere stato il primo progetto finanziato dagli Stati Uniti a Cuba dai tempi dell’embargo imposto dagli Usa all’indomani della rivoluzione castrista. I tre Paesi sono stati scelti per la varietà di etnie presenti e perché dotati di un servizio sanitario pubblico capace di dare una diagnosi della malattia certa, in tempi brevi, e senza escludere le persone economicamente più deboli.
I risultati, presentati a fine luglio dal professor Logroscino ad ENCALS, la conferenza internazionale più importante sulla SLA tenutasi a Barcellona, hanno dimostrato come l’incidenza della SLA sia più bassa nelle popolazioni con origini miste (mulatti ) rispetto agli ispanici e agli afroamericani, mentre la più alta in assoluto è quella nei caucasici,. Non a caso, nei tre Paesi dove lo studio è stato condotto, la maggiore incidenza della malattia è stata osservata in Uruguay, dove l’85% della popolazione è di origine europea. “Questi studi – spiega il professor Logroscino, risultato pochi giorni fa primo scienziato neurologo in Italia (su un totale di 170), 17esimo in Europa e 36esimo nel mondo secondo l’AD Scientific Index 2023, il sistema di valutazione statunitense basato sulla produttività scientifica dei singoli scienziati – segnano un cambiamento epocale nell’ambito delle malattie neurodegenerative.
La crescente velocità con la quale si acquisiscono conoscenze sul genoma umano permette una conseguente rapida evoluzione delle terapie. Sebbene i casi di SLA di origine esclusivamente genetica siano solo tra il 2% e il 5%, lavorare sul genoma permette di individuare farmaci che agiscono direttamente sulla causa, quindi sulla produzione di proteine anomale, che viene bloccata, e riescono non solo a frenare il decorso della malattia, ma addirittura a invertirlo. Queste scoperte hanno poi influenze generali sullo studio della patologia e possono apportare miglioramenti anche alle terapie e agli ausili a disposizione di tutte le persone affette da SLA, indipendentemente dall’origine genetica o ambientale”.