“Il forse è la parola più bella del vocabolario italiano, perché apre possibilità, non certezze. Perché non cerca la fine, ma va verso l’infinito.” scrisse Giacomo Leopardi.
Viviamo un’epoca in cui di certezze sembra non se ne possiedano molte, sembrano contraddistinguersi invece le insicurezze e le incertezze. Quelle stesse fragilità che, talvolta, fanno apparire la realtà distorta e ci si rifugia nelle menzogne pur di non guardare al vero. Quelle debolezze per le quali siamo propensi a pensare di sapere più di quanto sappiamo realmente, credere di conoscere quando dovremmo ascoltare e accogliere senza dare per scontato, come se tutto fosse lecito o dovuto. Si è parlato di “società liquida”, di “vita liquida” e forse sono divenuti “liquidi” anche i sentimenti che troppo spesso si tende a svuotare.
Vi sono interrogativi per i quali si pretendono delle risposte che poi, in fin dei conti, non sempre si ha la forza di accettare perché la verità è un “bagaglio pesante” da sorreggere. Ogni uomo porta con sé la propria verità ed è, spesso, difficile accoglierla senza compromessi ma il futuro rappresenta ciò che saremo, l’oltre.
Forse, semplicemente, ciò di cui si avrebbe bisogno sarebbe guardare alla realtà e provare a porsi le domande giuste. Ciò di cui avremmo bisogno sarebbe concederci una “possibilità”, serbare in noi il “forse” e dunque non una certezza, non una fine, bensì semplicemente un “pezzo” di infinito. Uno spiraglio d’immenso che si affacci sulla quotidianità, che consenta di respirare dalla noia che consuma l’ossigeno della vita. “La noia è la più sterile delle passioni umane. Com’ella è figlia della nullità, così è madre del nulla: giacché non solo è sterile per sé, ma rende tale tutto ciò a cui si mesce o avvicina.” sosteneva Leopardi, ad oggi la noia è l’apatia e la cieca indifferenza. È l’invecchiamento dei sentimenti perché la noia svuota l’immaginazione, priva del senso del bello e della percezione della vita. “La noia è incapacità di godere” sosteneva, infatti, Roberto Gervaso perché essa è “assenza di piacere” come rifletteva Leopardi.
Ci si rifugia nelle emozioni forti come “antidoto” alla noia, ma sono pulsioni che annientano. È un autolesionismo, è la bruttezza che fa invecchiare. Non dovremmo tendere verso la fine ma verso il “forse”, verso “l’infinito” e quindi verso la vita. L’infinito è l’oltre, è scoperta ed è conoscenza. L’infinito che scoprì Leopardi, “il giovane favoloso”, il grande sognatore che superava i limiti attraverso l’immaginazione.
Avremmo bisogno di infinito, di poesia perché il bello è sempre utile. Avremmo bisogno di più poeti a questo mondo, dell’anima dei poeti, di coloro che sanno ancora sorprendersi e amare e guardare ciò che non si vede all’ apparenza.
“E il naufragar m’è dolce in questo mare” scriveva Leopardi, perché noi altro non siamo che “naufraghi” nel “dolce mare” della vita e dovremmo assecondarla la vita che abbiamo dentro. Assecondare i sentimenti quelli puri e così veri da essere sorprendentemente belli, perché come scriveva Herman Hesse: “ Di nient’altro viviamo se non dei nostri poveri, belli, splendidi sentimenti. Ogni sentimento cui facciamo torto è una stella che spegniamo.”.