“Mala tempora currunt, sed peiora parantur” tuonava l’illustre avvocato e senatore Marco Tullio Cicerone denunciando in Senato, attraverso un’invettiva, un tentato colpo di mano di Catilina (potrebbe essere considerata, anche se ovviamente con valenza più grave, una mozione di sfiducia ante litteram). Ebbene, mai come in questo periodo, facendo un volo pindarico di oltre duemila anni, tale espressione descrive la situazione di un Paese che, afflitto dalla persistente congiuntura economica, politica e morale, si trova a fare i conti con una vicenda che assumerebbe il sapore del grottesco e dell’ironico, se dietro non ci fossero in ballo due vite umane spezzate e due militari detenuti in stato d’arresto in India senza alcun “apparente” motivo d’imputazione.
Mala iustitia currit. La vicenda in questione trova il suo incipit il 15 Febbraio 2012. In quel maledetto giorno vennero rinvenuti esanimi i corpi di due pescatori indiani a bordo di un peschereccio distante circa 22 miglia dalle coste del Kerala (regione a sud dell’India). Si parla per l’appunto di 22 miglia, quindi il LOCUS COMMISSI DELICTI è in piene ACQUE INTERNAZIONALI. A poca distanza dal natante indiano, circa a 32 miglia dalle suddette coste, transitava la petroliera Enrica Lexie. Su quest’ultima, battente bandiera italiana, erano stati impiegati i nostri due fucilieri di marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, appartenenti al Reggimento San Marco, insieme ad altri membri del Nucleo Militare di Protezione (NMP) della Marina Militare Italiana, in attività di monitoraggio e difesa da potenziali attacchi di pirateria. Il governo indiano, appresa la tragica notizia, invitò la nave petroliera ad attraccare al porto in modo da interrogare i membri dell’equipaggio sia civili sia militari, al fine di appurare se sapessero qualcosa del tragico avvenimento. Dopo lunghe ore d’interrogatorio, l’autorità giudiziaria dispose il fermo giurisdizionale per i nostri due marines e mise sotto sequestro l’Enrica Lexie.
Dalle sommarie indagini Girone e Latorre risultarono i primi indiziati della morte dei due pescatori, mentre gli altri membri dell’equipaggio vennero rilasciati. Era l’inizio di una querelle diplomatica che coinvolge Italia ed India e sembra non aver fine. Infatti, secondo la versione italiana, “nel corso di un’ operazione di scorta volta a contrastare atti di pirateria, alcuni membri del NMP a bordo della petroliera Afranax Enrica Lexie sarebbero stati costretti ad usare graduali misure di dissuasione contro un’imbarcazione da pesca con a bordo cinque persone armate che avrebbero mostrato evidenti intenzioni di attacco, arrivando ad usare le armi in dotazione con tre serie di colpi di avvertimento”. La versione indiana, invece, afferma che questa misura cautelare utilizzata dai nostri marines avrebbe provocato incidentalmente la morte dei due pescatori Ajesh Pink e Valentine, anche detto Gelatine, che stavano svolgendo normali attività di pesca in ACQUE CONTIGUE. Ciò detto, considerando le lacune del diritto internazionale, il caso Lexie, rappresenta esclusivamente un insieme di errori, provocati da una normativa lacunosa e dall’insana gestione diplomatica della vicenda. Non bisogna dimenticare il fatto che l’autorità giudiziaria indiana abbia espressamente vietato la partecipazione dei periti della difesa durante la perizia balistica effettuata a bordo della petroliera ed anche il fatto che abbia rilasciato al proprietario il permesso di affondare il relitto, che rientrava a pieno titolo tra i reperti giudiziari. In ragione di questo ancora adesso taluni giornali parlano di ACQUE INTERNAZIONALI, altri di ACQUE CONTIGUE. La differenza sul piano giuridico è rilevante perché nelle ACQUE CONTIGUE, lo Stato costiero gode di una competenza specifica in ordine a determinate tipologie di reato.
La versione autentica ci viene data dalla Corte Suprema Indiana nei primi mesi del 2013, secondo anche quanto riporta “Repubblica” nel suo articolo “Caso Marò , tutti i punti da chiarire del 27 Marzo 2013”, smentendo le prime dichiarazioni di ACQUE CONTIGUE del governo indiano. Cambia la forma, ma non la sostanza. È d’uopo sottolineare che in virtù della legge di bandiera, si rileva una competenza della giurisdizione italiana per i fatti avvenuti sulla petroliera Enrica Lexie, territorio fluttuante italiano; dall’altro canto però si è avuto modo di constatare che, gli effetti di reato si sono prodotti in territorio indiano, ossia sul peschereccio St. Anthony. Riporto alcuni spezzoni di un interessante articolo “Troppi diritti violati a New Delhi” curato dal neo dottore Andrea Lenoci, laureato in Giurisprudenza presso l’Università telematica Pegaso di Napoli: “L’analisi del diritto internazionale marittimo, comparato allo studio del diritto interno indiano, ha permesso quindi di stabilire, con sufficiente certezza, che l’episodio è meritevole di una giurisdizione concorrente, che si risolve in favore dello Stato indiano, attesa la presenza dei militari su quel territorio. Ed è proprio per questo motivo che il più grave errore per l’italia è stato quello di riconsegnare i nostri militari dopo i periodi di licenza concessi, nonostante la nostra Costituzione ai sensi dell’ art. 10, vieti esplicitamente la consegna di imputati o condannati a rischio pena di morte”.
L’eventuale operazione di non riconsegna dei nostri militari italiani rientra nella c.d. CONTROMISURA, una forma di autotutela che consiste in una qualsiasi violazione del diritto internazionale, dovuta ad una precedente, in modo da riportare la situazione quo ante. Quindi, con forte certezza, si può affermare che l’unica magistratura competente a giudicare sul caso Lexie è quella italiana. In ragione delle motivazioni esposte in precedenza sarebbe anche ora, e su questo l’allora Ministro degli Esteri on. Emma Bonino si stava impegnando, di chiedere un arbitrato innanzi alla Corte Internazionale di Giustizia. Tale orientamento sembra averlo assunto anche l’attuale Ministro degli Esteri del governo Renzi, on. Federica Mogherini. Lo stesso Lanoci aggiunge come nell’arbitrato internazionale si sarebbe potuta avviare “la richiesta di misure provvisorie, quali, ad esempio, la consegna dei militari imputati ad uno Stato neutro, individuato tra quelli che non hanno stipulato alcun accordo di estradizione con nessuno dei due Stati interessati”. Tutte queste motivazioni e pretese giuridiche costituiscono tanti fili di uno stesso nodo gordiano che non è destinato a sciogliersi o, se si scioglierà, non sarà esente da vizi procedimentali. Non resta che confidare nell’ONU, nell’UE e in tutte le altre organizzazioni internazionali che portano alto il gagliardetto della giustizia (anche se per ora si sono viste poco) e nelle sagge, almeno si spera, menti dei giudici indiani.