Un ricordo di Titti Farmo

"Eri diventato un uomo serio ma non ti prendevi mai sul serio"

"Mannaggia, come fai ad andartene così?” È stato questo il primo pensiero quando, stamattina alle 6:30, ho letto il messaggio di tua sorella — scritto alle 4:00 — che diceva: “Titti non c’è più.”
Mannaggia, come fai a lasciarci tu, che sei sempre stato la scintilla delle nostre birbonate da liceali, quando ci bastava davvero poco per divertirci? Se volevamo evitare una lezione pesante, con quella prof un po’ troppo sensibile, tu irrompevi ad alta voce con una parolaccia — e il turbamento che creavi ci salvava puntualmente dall’interrogazione. Be’, quasi tutti… perché qualcuno preparato c’era sempre. Ma anche loro, parte del nostro gruppo affiatato, si univano al coro dei “comuni mortali”.
Tu, alto e massiccio, spalla sicura per ogni momento di debolezza, talento nella pallavolo, te ne vai lasciando non un vuoto, ma una voragine.
Non potrò mai dimenticare il giorno in cui ti confidai un segreto grande (tu sai quale). Lo custodisti, anche davanti a chi ti aveva battezzato, e per anni mi dicevi con quel tuo tono ironico: “Da quel momento mi guarda con occhi diversi!”
E come dimenticare quella volta, davanti alla villetta San Francesco, quando mi vedesti entrare a scuola e, con il tuo solito fare sornione, urlasti: “Ma deveru t’hannu fattu preside?”
Non ti importava nulla che ci fossero le mie docenti, un po’ incredule. Ma chi era di Galatina e dintorni lo sapeva: lu Titti poteva permettersi questo e molto di più.
Ci legava un affetto immenso, quell’amicizia bella che nasce sui banchi di scuola e dura tutta la vita. E come non ricordare la nostra chat “Liceali for ever”, con le baruffe, le battute, i litigi inutili che però ci facevano sentire ancora ragazzi, ancora compagni.
Le nostre rimpatriate erano un tuffo nel passato. E tu c’eri sempre, anche quando il male aveva già cominciato a morderti.
Ricordo quel penultimo incontro estivo: ci hai dato una vera lezione di vita. Ti aggrappavi con forza alle piccole gioie, ai piaceri semplici. Come passeggiare di mattina presto sulla spiaggia di Gallipoli, dove per anni avevi fatto il gradasso.
Eri diventato un uomo serio ma non ti prendevi mai sul serio. Proprio come piace a me.
E ricordo anche come mi annunciasti il tuo matrimonio: eravamo entrambi presidenti di seggio, e tu lo urlasti da un seggio all’altro, con quell’irriverenza che era solo tua.
Poi l’amore per tua moglie( “conosciuta all’Eros”), come raccontavi con una risata e per tuo figlio Lorenzo, di cui parlavi con orgoglio: “Non è come me!”
Ma guarda, Titti, che proprio per questo Lorenzo può essere fiero di avere un padre come te. Perché per noi tutti, a Galatina, tu sei un vero Amico. Con la A maiuscola.
A Lorenzo, a sua madre e a tutta la famiglia, mando un abbraccio fraterno e sincero. Con tutto l’affetto che solo l’amicizia vera sa tenere viva, anche oltre la vita.