È un atto di coraggio. Quello di metterci la faccia, dico. È un atto di coraggio bello e buono, non scontato e di certo non sicuro. Perché tra il metterci la faccia e il perderla basta davvero un nulla.
La linea che divide la voglia di fare la propria parte da una vuota mania di protagonismo, il più delle volte ingiustificata, non sostenuta da reali capacità intellettive o esperienziali, è più che mai sottile e le elezioni amministrative ci mostrano puntualmente quanto fragile sia questo limite.
Non riconosco il fare politica nell’esibizionismo, nella promessa che supera le aspettative e il più delle volte le delude, né tantomeno nella necessità di denigrare il lavoro altrui (soprattutto se è stato fatto obiettivamente bene, pur nella certezza che possa essere sempre migliorato) per provare a sgomitare e prendersi un posto in prima fila.
Ma qui non si tratta di andare a teatro, dove le poltronissime sono senza dubbio il meglio di cui godere. Qui non servono spettatori. Qui la prima fila è quella di chi affronta il nemico de visu, chiunque sia l'antagonista e qualunque sia il problema da risolvere.
La politica è fatta di quotidianità, di decisioni da prendere giornalmente fidandosi dei valori più sani da cui riusciamo a farci spingere, ma anche di persone che condividono con noi ideali importanti e progetti che hanno il dovere di essere sempre a vantaggio della comunità, mai del singolo o della singola classe sociale.
Quando la morale si allontana da tutto questo, non c’è più politica, ci sono mezzucci che affievoliranno forse i propri ardori a urne ormai chiuse, ma lasceranno comunque la consapevolezza, almeno in me, di un livello di allarme che, come diceva il cardinale Martini, “si raggiunge quando lo scadimento etico della politica non è neppure più percepito come dannoso”.
Non ci dovrebbe essere bisogno di difendersi per raccontare la propria storia e quello che si vuole proporre. Eppure ci si ritrova puntualmente a doverlo fare perché è più semplice sferrare un colpo basso che portare avanti un’idea scevra delle foglie secche di chi ha qualche dente avvelenato dal passato e crede di aver trovato il modo per riscattarsi buttandosi nella mischia.
Siate seri, tutti, dal primo all’ultimo. Portate sul tavolo fatti, non utopie, non volgarità, non fuochi d’artificio. Quelli li lasciamo alla festa patronale, si spera.
E allora chiunque sfilerà nella tradizionale processione di fine giugno, provi solo a pensare se mettendoci la faccia l’ha anche persa oppure no. Lo dica solo alla sua coscienza, non serve ammetterlo in pubblica piazza.
La gente ascolta, vede. E sa.
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