L'avvocato Carlo Gervasi, dopo undici anni dalla presentazione del ricorso, ha ottenuto, il 3 ottobre 2024, a favore di un suo difeso, un'innovativa sentenza da parte della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo. La notizia del risultato raggiunto dal noto legale galatinese ha fatto subito il giro degli addetti ai lavori a livello nazionale (è stata, fra gli altri organi di informazione, ripresa anche dal Corriere della Sera da Repubblica e dall'Unità) ed internazionale.
La Corte ha condannato l'Italia per violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo ("Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti"). Il ricorso presentato dall'avvocato Gervasi riguardava un detenuto salentino condannato a scontare una pena cumulativa di 30 anni di detenzione.
"Al momento del suo arresto (...) -si legge nel ricorso- è entrato in carcere in condizioni fisiche ottimali e non presentava alcun disturbo motorio e camminava correttamente in posizione eretta. Durante i vari periodi della carcerazione è stata riscontrata la presenza di disturbi alla colonna vertebrale che hanno richiesto interventi chirurgici alla colonna lombo-sacrale. E’ accaduto che con il protrarsi della carcerazione, prima presso il carcere di Ferrara e successivamente presso la casa circondariale di Torino, non svolgendo all’interno delle strutture carcerarie alcuna attività motoria, le sue condizioni di salute hanno iniziato lentamente a peggiorare, così come risulta dalla cartella clinica del detenuto, nonché accertato dalle molteplici relazioni mediche che si allegano."
L'uomo soffriva di ernia del disco spinale ricorrente, artrite spinale e dolore lombare acuto, che non gli consentivano di muoversi. Aveva subito tre interventi chirurgici e dal 2006, data dell'ultimo intervento, doveva fare continuo ricorso alla fisioterapia.
Le sue traversie nelle carceri italiane (Bologna, Torino, Ferrara) cominciano nel 1987. Periodi di detenzione si alternano a brevi permanenze ai domiciliari per curarsi. In una perizia richiesta dal Tribunale di sorveglianza di Bologna si legge esplicitamente che "la malattia, di cui è affetto il (...), si è costantemente aggravata per la mancanza di assistenza e cura, rendendosi incompatibile con il regime carcerario."
La situazione era tale da costringere il legale galatinese a presentare numerose istanze a tutti i Tribunali di sorveglianza competenti senza ottenere risultati duraturi per il suo assistito: i domiciliari per poi essere ricoverato in una struttura specializzata.
Nel 2013 viene presa la decisione di fare ricorso alla CEDU che nella sentenza del 3 ottobre 2024 scrive: “È pacifico che il ricorrente soffriva di patologie ortopediche e neurologiche. Inoltre, precedenti referti medici e decisioni giudiziarie avevano indicato la necessità di una fisioterapia regolare, se non costante, al punto che era stato ritenuto necessario un periodo di detenzione domiciliare. I referti emessi prima del ritorno del ricorrente in carcere nel novembre 2011 indicavano specificamente che aveva bisogno di fisioterapia di mantenimento due volte a settimana. (…) Nonostante queste indicazioni unanimi durante i due anni in cui è rimasto in carcere, sembra che il ricorrente abbia avuto accesso solo a dieci sedute di fisioterapia”.
“Il ricorrente -conclude la Corte- non ha ricevuto cure adeguate durante la sua detenzione. Vi è stata pertanto una violazione dell’articolo 3 della Convenzione”.
L'Italia risarcirà con 8 mila euro l'ex-detenuto.
"E' stata aperta una nuova strada -spiega Carlo Gervasi-perché è la prima volta che la Corte europea si pronuncia in questo senso. L’elemento importante di questa decisione della Cedu è che viene rilevata l’inadeguatezza dell’assistenza per il detenuto in carcere. Non basta tenere sotto controllo la malattia, altrimenti il detenuto peggiora. In questa specifica circostanza, il mio assistito era entrato in piedi in carcere e ne è uscito in sedia a rotelle. Da due anni è libero e ha ripreso a curarsi e ora cammina con una stampella”.
Ha dovuto attendere 11 anni ma alla fine il penalista di Galatina ha raggiunto il risultato sperato e ha aperto la porta della speranza in una "giustizia giusta" anche per molte altre persone.