La transustanziazione

Prima di addentrarci nel tema Eucaristico della transustanziazione, un breve pensiero sull’ incontro settimanale dell’ A.C.R., incentrato in particolare sulla genitorialità e sul confronto generazionale tra membri della famiglia. Le difficoltà nel compito educativo non mancano, per i genitori che si apprestano a “preparare i figli” ad affrontare un giorno la vita, per essere
autonomi e capaci di essere anche loro genitori. Proviamo a vedere l’atto educativo da un altro punto di vista , quello della quiddità. La quiddità, è l’astrazione logica operata dall’ intelletto sulla realtà sensibile (perché conformata  ai sensi). L’ astrazione consiste nell’ astrarsi per individuare i generi e le specie che caratterizzano un determinato modo di essere, per analizzare e capire le varie parti che lo costituiscono. Il compimento di un’azione, per esempio, implica una serie di processi che portano a conseguire un determinato fine. Tal processo implica la volontà, che esprime la fattibilità della cosa, l’ appetibile è dato dall’ intelletto, la ragione dispone i mezzi e l’ intelligenza li correla in un processo di scelta univoco al fine. Quello che ne risulta, è che tra il porre e il disporre c’è la capacità del mezzo attuativo che rientra nel merito della perfezione del fine. Nel nostro caso, nel processo educativo se applichiamo l’ astrazione logica ciò che dobbiamo ricavare è il soggetto della disciplina ossia la sostanza (l’ educazione), ma la sostanza funge anche da soggetto agli accidenti, quindi anche essi vanno analizzati nello stesso contesto della sostanza. Tale sostanza pertanto è verità ed essendo verità è conoscenza, quindi conformità. Vale a dire che la verità è la conformità tra la conoscenza del conoscente e la conoscenza del conosciuto, tra quello che conosciamo e ciò che ci apprestiamo a conoscere. Pertanto i genitori non fanno altro che rendere conforme la loro conoscenza alla conformità conoscitiva dei figli. In sostanza l’ educare è un trasmettere generazionale della conoscenza, ricco di esperienza, che fa da base  speculativa all’ individuo che lascia la famiglia per vivere in  proprio una volta divenuto adulto. Quindi definiremo la, conoscenza trasmessa alla prole dai genitori , una conoscenza potenziale , che attende di divenire atto nei figli  per attuazione. I figli  conservano in loro questa verità dell’educazione, ma siccome è stata rapportata come sostanza sarà soggetta a degli accidenti, che molto spesso si identificano nella relazione. Non dimentichiamo che per Aristotele gli accidenti vengono classificati nei nove predicabili e tra cui c’ è anche la relazione. La relazione consiste nell’ inerenza dei mezzi per raggiungere l’obbiettivo, il fine, che a secondo dei tempi in stretto rapporto con la diversità generazionale cambia o addirittura si evolve.  Infatti l’ individuo apprende la sostanza ,la conoscenza della cosa, ma lo fa dagli accidenti prima di arrivare ad essa, una volta che arriva ad essa, la spoglia parzialmente di quelle accidentalità che è rivestita, per  ricostituirla con delle nuove. Nella morale si dice che la costituzione della cosa riveste un nuovo “abito”,  ma non una differenza costitutiva , perché riceve la specie dal fine, oggetto della sua volontà  dipendente.  La costituzione di un nuovo abito è dovuta da una ricezione individuale  diversa della realtà, con un modo di conformarsi personale ad essa , non sempre giusto , ma non sempre sbagliato.
Proprio queste nuove accidentalità, sono la differenza generazionale anche se il fine rimane lo stesso. È allora, che il genitore si sente quasi “messo da parte” e gli sembra essere escluso quasi inutile , in realtà non è così. Questo accade perché il figlio “crescendo” ( inteso nel processo di raziocino), comincia a piccoli passi, ad essere autonomo e indipendente conformandosi alle verità della vita,  relazionandosi  ai mezzi che la società li mette a disposizione. Purtroppo accade, che non tutto il bene si relaziona ai mezzi di espressione dell’ indipendenza personale, perche  anche il male, che in parte non è voluto, è dedotto come bene da una deficienza intellettiva dell’ individuo.Tale determinazione che priva del bene, nella morale è differenza costitutiva perché non è più la norma del bene universale fine di se stessa, ma la norma di una volontà diversa che obbietta alla natura “vera” dell’ essere. In questo contesto,  subentra il compito dei genitori,che senza imporre i propri mezzi come soluzione ai figli,  danno loro le competenze di conoscenza, inducendoli a scegliere con saggezza, secondo il proprio modo di essere
conoscitivo- individuale. Concludendo il processo educativo è una trasmissione generazionale della conoscenza umana dell’ essere, nel relazionarsi individualmente e interpersonalmente nella società. Tale bagaglio è intrinseco nel nostro io di esseri, infatti è un apprendimento che si protrae fin dalla comparsa dell’ uomo, che accumula esperienza, ritrasmettendola. Questo processo
ha fatto ottenere , oggi,le  conquiste sulla salvaguardia  dei diritti naturali dell’ uomo che un tempo erano inimmaginabili. Il  compito del genitore è  sempre difficile, ma l’ importante sono i valori positivi che si trasmettono ai figli, perché siano alla base nella vita di ogni essere. Una piccola analogia possiamo dedurla con l’ espressione “l’ allievo supera il maestro”, ciò che supera non è l’allievo, ma la conoscenza del maestro conosciuta dall’ allievo per conformazione ad essa. Quindi è la conoscenza che migra, dal maestro all’allievo, per rivestirsi di un nuovo abito, arricchirsi, con l’ aiuto delle potenzialità dell’ allievo; questo accade anche nei figli, quando i risultati sono positivi.
Transubstantiatio  o “mutamento della sostanza per azione divina”,  è  ciò che avviene durante la celebrazione dell’ Eucaristia,  un mutamento della “sostanza” del pane e del vino, nel Corpo e Sangue di Gesù Cristo. Per spiegare il concetto dobbiamo analizzare le due classi dell’ Ente, la “sostanza” e gli  “accidenti”. La “sostanza” è il sostrato  primo di ogni cosa, possiede l’ essere in proprio, ed è ciò che è, senza tutto ciò che non è. Sostanza può essere  la quiddità di una cosa  espressa dalla definizione, difatti diciamo che la definizione esprime la sostanza delle cose; e questa sostanza che i greci dicono ousia, noi possiamo chiamarla essenza (essentiam). L’ essenza quindi è la definizione delle determinazioni costitutive della natura di una cosa. Oppure si dice si dice sostanza il soggetto o supposito che sussiste nel predicamento della sostanza . E prendendola in generale si può indicare come un nome che ne esprime la funzione logica e allora si chiama soggetto o supposito.
Mentre, l’ “Accidente”  che deriva da accidere, accadere, non possiede l’essere di proprio, ma lo riceve dalla sostanza, ha una natura insussistente ed esiste in virtù del soggetto sostanza.
L’ accidente,  viene conosciuto solo quando si conosce la sostanza che lo possiede, Aristotele riduce a nove li accidenti principali , quantità, azione, relazione, passione, luogo, tempo, situazione, abito, qualità.
Nel “De natura accidentis”, S. Tommaso, fa piazza pulita dei pregiudizi che ritenevano gli accidenti un qualcosa di secondario alla sostanza, quasi inutile. Infatti nell’ opera, si afferma che: così come la sostanza è il sostrato primo di ogni cosa, in egual modo l’ accidente è il primo oggetto conoscitivo  della sostanza che gli funge da soggetto. Poiché ogni conoscenza umana prende il via dai sensi, e l’oggetto proprio del sensi sono gli accidenti, ne consegue che gli accidenti danno un grande apporto alla conoscenza dell’essenza di una cosa. Per questo, l’ intelletto attraverso i sensi, si conforma  con gli accidenti, per poi conoscere l’ essenza,  tant’è che alcune sostanze per privarsi degli accidenti devono privarsi della loro esistenza. 
L’ accidente non si rapporta alla sostanza in termini di potenza, ma in seguito all’ atto, ossia quando la sostanza in potenza diventa atto nel suo divenire.
S. Tommaso osserva che dell’accidente si danno due accezioni principali: quella logica (è il quinto predicabile) e quella metafisica (è il gruppo delle nove categorie o predicamenti).
Infatti in teologia, per poter spiegare la transustanziazione bisogna ricorrere ad una distinzione reale tra sostanza e accidenti, in quanto nell’Eucaristia viene meno la sostanza del pane e del vino che muta nel Corpo e nel Sangue di Cristo. In questo mutamento,  gli accidenti rimangono immutati, intatti, tant’ è che solo la sostanza del pane e del vino mutano. Proprio perché muta la sostanza e non la forma abbiamo una “conversione sostanziale” e non “formale”. Se  mutasse la “forma”,  muterebbero anche gli accidenti, infatti per forma si intende il primo atto della materia, poiché compete alla forma fissare la sostanza in un genere o in una specie. Principalmente  la forma si distingue in due tipi: sostanziale e accidentale.
La  forma sostanziale dà l’essere in modo assoluto (simpliciter) e il suo subietto (cioè la materia) è un essere soltanto in potenza, invece la forma accidentale non dà l’essere in  modo assoluto (simpliciter) ma una qualità o una quantità o altre modalità dell’essere; poiché il suo subietto (soggetto) è un ente già in atto. Quindi è chiaro che l’attualità si trova prima nella forma sostanziale che nel suo subietto. Viceversa, l’attualità si trova nel subietto della forma  accidentale prima che nella forma accidentale stessa: perciò l’attualità della forma 
accidentale è causata dal soggetto. Cosicché il soggetto, in quanto è in potenza, diviene il soggetto della forma accidentale; ma in quanto è in atto la produce. Questo vale per 
gli accidenti propri e connaturali; perché se parliamo degli accidenti estrinseci, allora il subietto ha soltanto la capacità di riceverli; poiché chi li produce è un agente estrinseco. In secondo luogo, la forma sostanziale e quella accidentale differiscono anche in questo, ove la materia è ordinata alla forma sostanziale, mentre la forma accidentale è ordinata alla perfezione del soggetto; perché ciò che è meno importante è sempre ordinato a ciò che è principale, quindi  se una definisce l’ altra precisa.
Ritornando alla transustanziazione, il miracolo dell’ Eucaristia, pone due difficoltà, ossia la possibilità e la coerenza. La possibilità, esprime l’ onnipotenza di Dio, in quanto provvede Dio stesso a dare l’ essere agli accidenti, quando normalmente è comunicato dalla sostanza. Poiché la causa prima degli accidenti e di tutti gli esistenti è Dio, mentre la causa seconda è la sostanza, essendo gli accidenti causati dai principi della sostanza,  Dio può conservare nell'essere gli accidenti, quando è stata tolta la causa, ossia  la sostanza. E pertanto si deve concludere che Dio può far si che esistano accidenti senza soggetto. Per quanto riguarda la coerenza, ci si chiede se è legittimo continuare a dare il nome di accidente, alle realtà del pane e vino, visto che non hanno più le proprietà essenziali che le caratterizza, “l’ inesse” (relazione). Questo si risolve distinguendo l’ essere dal suo modo d’essere, proprio il modo d’essere dell’ accidente è l’inesse ( la relazione del suo modo di essere con il soggetto sostanza), ma ancor più importante per la natura stessa dell’accidente è di non avere di suo il  proprio atto d'essere, ma di riceverlo dalla sostanza. Proprio perché l’ essere lo riceve dalla sostanza, questo secondo elemento rimane salvo anche nel miracolo eucaristico: gli accidenti delle specie eucaristiche non hanno l'essere in proprio, ma lo ricevono direttamente da Dio. Perciò gli accidenti del pane e del vino, rimangono inalterati perché è Gesù stesso a fungere da soggetto, in quanto è proprio la seconda persona dell’ipostasi trinitaria, che si immola nell’ Eucaristia,  sacrificandosi  per noi, divenendo  Corpo e Sangue.