Ma se è “l’estrisecazione fantastica dell’io creatore” (cfr. Benedetto Croce), come può, l’Arte, concentrarsi, o almeno sembrare di concentrarsi, in una comunità ristretta di persone, e nel tempo, quasi fosse a trasmissione genetica, identitaria persino, all’interno di essa.
Mi meraviglia, mi turba, per il mistero che vi vedo, questo essere noi, a Galatina, “popolo” di artisti e/o comunque, di “malati d’arte”. Perché qua, inconfutabilmente, così è. Tutti cantanti, musicisti, attori, registi, sceneggiatori, fotocinemakers, danzatori, scrittori, poeti, pittori, scultori, performance, visual development artist; e poi, critici, espositori, collezionisti, curatori, intenditori, promoters, galleristi... Ma quanti ce ne stanno?!
Sarà avvenuta in questa città una qualche mutazione cromosomica, magari ai tempi di Raimondello Orsini del Balzo; gene, questo dell’Arte, che una volta determinatosi, si sarebbe poi trasmesso da corpo a corpo, da mente a mente, da anima ad anima, negli abitanti.
E già, e non c’è da farsi vanto alcuno, si badi bene, perché c’è chi dice che sarebbe stato forse molto meglio avere il “gene del politico”, come a Maglie: forma d’arte, quella, di ben altra sostanza.
Ma nella città salentina tutta votata a San Pietro e sdegnata dalla bruttezza delle Tarantate Paoline, arde o cova sopito, in molti dei suoi figli, un fuoco: il fuoco dell’esaltazione poliedrica, multiforme e spettacolare di quell’io creatore che B. Croce pone all’origine di ogni forma d’arte.
Se pertanto, nei primi anni del XV secolo la Basilica di Santa Caterina D’Alessandria costituiva avanguardia con quegli affreschi mai visti e pensati da queste parti, coi loro richiami fiamminghi e le influenze stilistiche nordeuropee (cfr. Philippe Daverio), così oggi, l’arte di Pantaleo Musarò, Stefano Rizzelli e Corrado Marra (giusto per citarne alcuni) stacca di gran lunga, dal contesto territoriale salentino, francamente mediocre, l’avanguardismo galatinese; con la sua post contemporaneità, propria di una società, la nostra di oggigiorno, neanche più liquida (cfr. Z. Bauman), ma decisamente, ormai, gassosa. È un gas, se non asfissiante, certamente penetrante ed acre, il messaggio culturale ed emozionale che giunge dalla new art galatinese.
Nel periodo natalizio di quest’anno, due eventi a Galatina hanno, secondo me, lasciato il segno: “Non si compra” di P. Musarò, mostra a cura di Davide Miceli nel centro storico, ospite nelle salette di Palazzo Di Lorenzo e “Terra promessa” di S. Rizzelli, presentazione scenografica del catalogo della performance/istallazione svoltasi nel fatiscente quartiere fieristico di Galatina, l’estate scorsa, a cura di Raffaele Gemma, fondatore di Syncronicart, la “Biennale d’arte contemporanea del Salento”.
Pantaleo Musarò alle prese con le difficoltà di una vita in balìa del libero arbitrio, che tanto “libero” alla fine non è.
Stefano Rizzelli “semionauta”, navigatore solitario nell’infinito universo dei segni e dei simboli (where any man has never been before...), convince con le sue trafiggenti istallazioni, sbattendogli in faccia la realtà della sua violenza, che di certo “‘huomo non è più superbo di tutti gli animali.... il quale se si volesse arricordar di essere conceputo tra lo sterco & l’orina, & venuto nel mondo ignudo, se considerasse come vive.. in continue miserie, & fatiche, & sottoposto inevitabilmente alla morte.. ..mai in questa guisa, si insuperbirebbe” (Cfr. Marco Antonio Zimara); e già, avanguardia galatinese del XVI secolo.