"Se quello era un rudere..."

L'ingegner Antonio Toto commenta il termine usato da Carlo Colaiacovo per descrivere la Fedelcementi della fine degli anni '80 del secolo scorso

Egregio Direttore, premetto che non ero presente nella Basilica di Santa Caterina sabato pomeriggio, ma ho letto con attenzione il suo resoconto. Sono rimasto colpito da quanto da Lei riportato circa l’intervento del Cav. Carlo Colaiacovo.
A rigore di verità storica, tengo a precisare, circa la parola “RUDERE” spesa dal relatore, quanto segue.
Quando nel lontano aprile del 1986, più di trent’anni fa, il gruppo Financo (Colacem) acquistò la quota azionaria del Cav. Moccia, lo stabilimento della FEDELCEMENTI non era un “RUDERE”, era anzi tecnologicamente all’avanguardia per quei tempi e poco aveva da invidiare allo stabilimento Colacem di Gubbio (Ghigiano), da me personalmente visitato il mese successivo assieme al compianto Jimmi Fedele (fummo le prime due persone della FEDELCEMENTI che si recarono a Gubbio).
Forse lo stabilimento di Galatina non era bello architettonicamente, ma distava pochi chilometri dai due porti leccesi e dalla sua pesa transitavano oltre 20.000 quintali di cemento al giorno con rilevazione automatica del peso degli automezzi, sia in ingresso che in uscita, con emissione automatica del documento fiscale di accompagnamento.
Alcuni impianti erano già gestiti con tecnologia PLC.
Era stato dismesso l’uso dell’olio combustibile pesante per l’alimentazione del forno, utilizzando in parte gas metano e la fonte alternativa allora da tutti voluta (ecologisti in prima linea), il carbone. Esisteva un centro elaborazione dati con unità centrale Honeywell similare a quella della Colacem di Gubbio, ma più moderna e più versatile, e tutti gli uffici ed il magazzino erano dotati di video terminali. Impianti e software gestionali erano stati interamente realizzati da tecnici e maestranze interne e da imprese locali. Se quello era un “RUDERE”!
Distinti saluti.
Antonio Toto

La foto è del 10 maggio 1989