Si esce. E con la coda tra le gambe. Certo la delusione é tanta e più che mai giustificata: abbiamo chiuso un girone al terzo posto con l’ inguardabile bottino di due reti fatte e con una difesa che si è dimostrata più che mai in un chiaro stato di confusione, e tanti saluti al celebre “catenaccio” all’italiana. Dopo la vittoria sugli Inglesi, eravamo tutti a dire, credendoci forse un po’ troppo, che quest’anno potevamo riscattare la bruciante sconfitta rimediata in Sudafrica quattro anni fa, dove eravamo usciti dal nostro girone all’ultimo posto, sorpassati addirittura dai sicuramente non irresistibili giocatori neozelandesi. Ma la sconfitta con la Costa Rica ci ha fatto cadere dalle nuvole, riportandoci alla realtà.
Mentre l’ opinione pubblica esplodeva, criticando le scelte di mister Prandelli sui ventitré e rievocando lo spettro di Giuseppe Rossi, l’uomo che tutti aspettavano ma che era rimasto, per scelta tecnica a casa (rientrava da un grave infortunio e non era ancora considerato in forma). Il tonfo al cuore però lo abbiamo ricevuto l'altro ieri, con quella sciagurata partita di Natal (24 Giugno ndr ), dove l’Uruguay di Diego Godin ha disintegrato le nostre ambizioni mondiali all’ottantunesimo minuto. Una partita scialba, con poca intensità , che verrà ricordata più per gli errori arbitrali (il rosso non dato al recidivo Suarez per un morso a Chiellini, ma dato invece a Marchisio per un fallo indubbiamente grave ma non per questo, a mio avviso, degno della più grave delle sanzioni) che per le giocate dei singoli.
Finita la partita, ecco la caccia al colpevole. Molti gli inquisiti: primo tra tutti Prandelli, responsabile di non esser riuscito a dare un volto a questa squadra, che ha dimostrato di essere disorientata in chiave d’ impostazione e priva di un calcio fluido. Poi Balotelli, l’uomo che tutti si aspettavano ma che alla prova della maturità si è dimostrato si essere un buon giocatore, segnando una bellissima rete contro l’ Inghilterra, ma non il campione di cui la nostra Nazionale aveva bisogno.
Altro punto molto criticato è stata la preparazione atletica dei nostri, con l’esempio palese di Cassano, uomo che doveva risolverci le partite subentrando come forza fresca, ma che si è dimostrato privo di quel guizzo che ci avrebbe fatto vincere. Fin qui una breve cronaca che non ha niente di originale, come tante altre cronache del dopo sconfitta.
Analizzando a freddo la situazione, bisognerebbe, però, convincersi che è inutile trovare un capro espiatorio di questa débâcle, dopo che ci si è affidati agli uomini della provvidenza (a scelta Balotelli o Prandelli), consegnando a loro i nostri destini, ma pronti a rinnegarli senza attenuanti se ci deludono. In fondo il gioco al massacro è facile quando si è spettatori. Giocando al calcio si è un team, sia nel bene che nel male. Per vincere, sia nel calcio che nella vita ognuno deve assumersi le sue responsabilità. Chi sbaglia ha bisogno di sostegno, non di una condanna senza appello.
Nè bisogna addossare tutta la colpa all’ allenatore, l’ uomo che pur ha un ruolo fondamentale visto che tocca a lui decidere : Prandelli si è dimostrato un uomo coerente e giusto, anche rassegnando le dimissioni dalla guida della Nazionale. Un uomo, a cui bisogna dare il merito di aver risollevato dalle macerie una squadra, portando, durante la sua gestione, novità e moderazione, conducendo il gruppo azzurro verso ottimi risultati come il secondo posto all’ ultimo Europeo e il terzo posto in Confederation Cup l’ anno scorso.
Anche noi italiani, in fondo abbiamo le nostre colpe. Bisogna ammettere che gli Azzurri sono partiti con una pressione, mediatica e non, molto intensa. I ventitré volavano verso il Brasile seguiti da un'altalena di esaltazione e scetticismo, atteggiamento del tutto tricolore, tipico alla vigilia di un grande avvenimento mondiale. I nostrani “c.t. da paese” disquisivano, mettendo sui tavolinetti del bar nomi mancanti, moduli appropriati, scelte tecniche a loro avviso esatte come il sole ogni mattina. E su queste inutili quanto dannose discussioni, la Tv ci ha sguazzato per mesi.
Avrei voluto anche io suggerire alcune scelte “ tattiche ”: ad esempio avrebbe potuto evitare la convocazione di elementi del calibro di Thiago Motta, dimostratosi inutile, per preferire qualità in attacco, portando nel ritiro brasiliano Mattia Destro. Ma con i se e con i ma, è risaputo, non si porta a compimento nulla.
In un paese normale però, bisogna rispettare competenza e anni di lavoro sul campo. Continuare ad avere fiducia, nonostante errori o scelte non condivise fino in fondo, se l’uomo della provvidenza si è dimostrato in passato all’altezza. Nel calcio e nella vita.
La squadra non può essere esente da critiche: i risultati parlano chiaro, non ci siamo dimostrati non abbiamo dimostrato le qualità di una squadra quattro volte Campione del Mondo. Ma il gruppo può continuare, i presupposti creati da mister Prandelli ci sono, per tornare ad essere finalmente l’Italia di quella fantastica notte a Berlino di otto anni fa. Io ci credo.