Perché Palazzo Orsini e non del Balzo?

Una proposta nè imprudente nè indecente ma un invito a leggere tutta la storia

Perché Palazzo Orsini e non del Balzo?

Cara Angela (ci conosciamo quindi evito toni troppo formali), ti ringrazio per aver avuto tempo e voglia di leggere il racconto allegato al pezzo ‘La Stella dei Magi brilla a Galatina’. Sono in tanti ad averlo fatto e, quindi, il mio grazie va anche a loro.  Scegliendo la formula del racconto, e non quella del saggio storico-artistico, ho volutamente deciso di condividere una storia che fosse di gradevole lettura per tutti, dai più esperti ai semplici appassionati della materia, senza appesantirla con la trattazione di aspetti artistici che, giustamente, come storico dell’arte, tu hai subito sottolineato.
Per questo, più che ‘imprudente’, riconosco di essere stata non completa citando solo uno tra i tre illustri pittori capobottega che operarono a Casaluce, dando così l’impressione che sia stato l’unico o il più importante. Non credo però che questa ‘imprudenza’ tolga niente ad un racconto che descrive la chiesetta di Santa Maria ad Nives come il ‘luogo della stella’ dove un filo sottilissimo ha iniziato ad intrecciare il destino di Raimondello Orsini, un semplice cadetto senza ragionevoli aspettative sulla eredità paterna, alla gloriosa stirpe Baucia e al travagliato pontificato del riformatore Urbano VI. Hai detto bene, molto del mio racconto attinge al bel libro su Urbano VI redatto nel 2010 da Mario Prignano, un suo discendente. Qualcosa dopo averlo letto non mi era chiaro. Non ho potuto fare a meno di chiedermi perché un pontefice così osteggiato dai cardinali di casa Orsini, che definì ‘demoni incarnati’, e dallo stesso conte di Nola Nicola Orsini, che scomunicò senza preavviso nel processo di Nocera, avrebbe poi chiesto aiuto proprio al figlio cadetto dell’eretico conte Orsini, peraltro un dichiarato filo-angioino, dandogli licenza di costruire quel mirabile scrigno d’arte che è la nostra Chiesa di Santa Caterina, prima ancora che Raimondello riuscisse nell’impresa di liberarlo dall’assedio di Nocera.
Ho utilizzato un approccio scientifico, a me più familiare in altri ambiti, per rintracciare una memoria che avevo bisogno di chiarire prima di tutto a me stessa e che, sempre più spesso, mi capita di vedere ignorata, dimenticata, travisata, contaminata, violata e non invece custodita come si dovrebbe, con orgogliosa consapevolezza. Volevo rendere più definito nella mia mente lo schizzo biografico di Raimondello, che tale resta purtroppo per le esigue fonti superstiti di cui finora disponiamo, trovando nessi plausibili tra preziosi simbolismi ed inattese scelte devozionali che decise di radicare a Galatina per attestare la salda e coraggiosa volontà riformatrice di una parte della Chiesa di quel periodo.
Non è mia intenzione far credere che sia possibile districarsi nel groviglio di queste intricate vicende solo ‘leggiucchiando qua e là’, quando tutto questo è frutto di un lavoro metodico e paziente che è ancora più difficile per chi, come me, non padroneggia bene gli strumenti della puntuale ricostruzione storico-artistica.
Ci sono tante domande ancora aperte. Ne faccio qui una che vuol anche essere una proposta, spero non imprudente né tantomeno indecente. Se la stella Baucia riverbera a Galatina, come in tutto il Salento, in quella che è definita una ‘pervasiva araldica orsiniana’, attestando il prestigio feudale dei nuovi signori Orsini in un chiaro segno di continuità con i del Balzo di Soleto e Casaluce, perché noi galatinesi continuiamo a parlare di ‘Basilica Orsiniana’ per indicare la Chiesa di Santa Caterina, di ‘Piazzetta Orsini’ per intitolare la piazza antistante, di ‘Palazzo Orsini’ per riferirci alla sede del Municipio, senza mai alcun esplicito riferimento all’eredità del Balzo? A mio avviso, stiamo trascurando un’infinita ricchezza che rischia di essere compresa solo da chi, in qualche modo, sa come leggere ed interpretare il loro esclusivo gusto francesizzante nei silenziosi quanto eterogenei monumenti salentini. Su questo e tanto altro sono sicura che avremmo ancora molto da dirci. Un caro saluto.


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