Nella settimana del Lecce Pride 2022 e in un contesto geopolitico instabile che vede i diritti umani e civili ripetutamente calpestati, ci sembra necessario aprire una riflessione condivisa sui diritti e le istanze arcobaleno. I numeri delle aggressioni omofobe in Italia, che solo nei primi mesi del 2022 superano le centinaia, sottolineano infatti ancora una volta l’urgente necessità che tutte le Istituzioni ed in particolare quelle più vicine ai cittadini, facciano la loro parte nella lotta contro le discriminazioni favorendo la parità di diritti e seminando la cultura del rispetto e dell’uguaglianza.
Gli strumenti per farlo sono molteplici a partire dalla creazione di un registro ALIAS, approvato pochi giorni fa dal Comune di Lecce e che permette alle persone transgender di riportare il nome scelto sui documenti di competenza del Comune. Un’iniziativa lodevole e significativa per il riconoscimento almeno a livello comunale del diritto di autodeterminazione del singolo che ancora oggi, purtroppo, non trova tutela a livello nazionale.
Non è più possibile procrastinare l’argomento, asserendo la non esistenza del fenomeno di violenza, o peggio ancora fingendo che tutto vada bene, pontificando dalla propria confort zone, a danno di centinaia di persone che quotidianamente lottano per se stessi, promuovendo un’idea e una prassi più ampia di giustizia sociale. La strada da percorrere è ancora tanta e supportare, simbolicamente ma con tutta la forza e convinzione possibile, manifestazioni come quelle del Pride è il primo passo per avviare questo processo che è in primo luogo culturale perché si pone l’obiettivo di superare la diffusa disinformazione sulle tematiche lgbtq+ che genera pregiudizi, discriminazioni e violenza in tutte le sue forme.
Non possiamo più tacere, oggi è tempo di agire, sensibilizzare e contrastare anche attraverso queste manifestazioni ogni tipo di violenza, e lo facciamo partendo dalle nuove generazioni, ancora troppo spesso vittima di un contesto socioculturale giudicante e che ha sete di cambiamento ed emancipazione. Lo facciamo per coloro che vengono considerati “ultimi” da spot propagandistici che strumentalizzano la vita delle persone.
Lo facciamo in maniera politicamente trasversale e lo facciamo insieme, senza distinzione perché la lotta per l’affermazione dei diritti civili è battaglia troppo importante per essere lasciata soltanto alle comunità che ne sono, oggi, escluse. Esattamente come la violenza sulle donne è battaglia che deve, necessariamente, riguardare e coinvolgere gli uomini, ci troviamo qui oggi sullo stesso fronte di chi combatte per il riconoscimento dei propri diritti. Ed è, come detto, una battaglia culturale che deve portare ad un salto di livello nel paradigma di interpretazione delle differenze, viste solo come arricchimento e come molteplice affermazione della propria identità e mai – mai più – come strumento di esclusione, di ghettizzazione, di mortificazione di chi, spesso con coraggio, decide di vivere a pieno se stesso. Lo facciamo perché, laddove c’è un diritto negato, calpestato, ignorato… lì sono la mia patria e la mia battaglia. Lo facciamo perché, nonostante tutto, crediamo ancora nella bellezza dei colori. Gli stessi della pace.