Angela Serafino "racconta" l'omaggio di Romano Sambati a Giovanni Valentini

E' in corso presso il Museo Cavoti, in via Cafaro a Galatina, una mostra dedicata a Giovanni Valentini, artista galatinese. 
Romano Sambati che fu suo amico gli rende omaggio con tre  opere  (mostra nella mostra). 
Pubblichiamo l'intervento con il quale, il 12 aprile scorso, Angela Serafino ha presentato l'artista e l'iniziativa.
Le foto sono di Francesco Sambati.
"Acuta è la mente che risiede nelle dita e nella mano dell’artista.
Pavel Florenskij

L’omaggio a Valentini È una creazione indissolubile: tre disegni che si interfacciano con tre dipinti: «tre momenti della vita di ogni umano» come scrive Sambati.

I disegni non sono separabili dall’opera che annunciano, perché sono petali della medesima corolla.

Prima osservazione

Desidererei porre, prima di continuare, una questione teorica. Nell’usare parole, denominazioni come disegni e dipinti – in questa sede – per questa mostra – ci si accorge di un’aporia che il linguaggio mette a nudo – poiché l’opera d’arte, per il suo processo di elaborazione, esige un NOME che sia conforme al suo portato, se – ancora – possiamo dire che NOMINA SUNT CONSEQUENTIA RERUM.

Disegni

Aprendo le porte della storia dell’arte – il DISEGNO – ci rammemora la sua funzione CARDINE che, con tutte le differenze adeguate, non cede nel tempo sino a diventare, nell’opera di Sambati – Soffio.

I Disegni di questo omaggio sono l’eleganza distillata del segno, nello spazio del bianco; operazione (apparentemente) semplicissima, come il sorgere dell’aurora, perché «ciò che è ben concepito si annuncia chiaramente» (Gide).

Quasi senza matita, con i tagli sulla carta, articolano la genesi della forma, con leggerezza portano il ritmo della luce…e le sue variazioni.

Sul foglio di carta, per il tramite del taglio si porta a compimento lo scolpire.

È così leggero il limite dell’impronta lasciata sulla carta, quanto immenso il ritmo che ne deriva. Qui non si tratta di ridurre al MINIMO, argomento trasversale ed eterno, ma anche mistificatorio. Il minimo, APRE l’opera e all’opera, quando il lavoro dell’artista è profondo, quando porta la forma a sollecitare i margini della superficie, includendo la DURATA, ospitando una MISURA, condensando la TRASPARENZA, restando in compagnia della luce…

Come nominiamo tutto ciò?

Dipinti

Di pittorico in senso stretto, hanno ben poco, se non la capacità di creare l’accordo tonale, anche nell’uso del solo monocromo. Argomentare questa qualità della materia cromatica nelle opere di Sambati, richiederebbe una COMPARAZIONE con l’uso appropriato delle parole, che dai papier collé di Braque, attraversa tutto il ‘900 sino alle sue – NON PITTURE – .

Pur sapendo che non è questa la sede per affrontare tali RINOMINAZIONI – ho ritenuto necessario porre la questione, che per altro verso, non è estranea alla produzione dello stesso Valentini.

A conferma della polifonia semantica, in fase di allestimento, alla richiesta di munire le opere delle adeguate didascalie, relative alle tecniche usate, Sambati candidamente declina, dicendo: «Noo, non servono. Bisognerebbe scrivere un romanzo altrimenti!».

Pur seguitando ad usare disegno e dipinto sappiamo che tali denominazioni non traducono interamente l’opera.

Processo

Le opere sono il risultato di un’essudazione (dalla radice latina exsudo) vale a dire un immenso lavoro, ponderato sin nel minimo dettaglio che, paradossalmente ad un primo sguardo può anche essere scambiato per approssimato.

Attraverso il processo di ESSUDAZIONE, si deposita – il NECESSARIO – che è azione ben diversa dal dire, «sostanza» o «essenza», ponendo queste parole questioni dicotomiche, che all’opera non occorrono, anzi.

Il NECESSARIO si deposita in forma di dettaglio, il culmine dell’opera (cfr. Arasse); ma è Sambati stesso ad insistere, nei nostri dialoghi, ribadendo: l’opera d’arte sta nei dettagli – e questo comprende gli stessi titoli

TESTA TRA LE NUVOLE – IMAGO HOMINIS – IL CIELO NEL POZZO.

E veniamo alle opere:

Testa tra le nuvole

Sulla carta i tagli ondulatori attraversano quasi interamente il foglio; il vento e il guscio dell’ombra circola. Testa tra le nuvole…la giovinezza, l’esplorazione delle possibilità…il punto di vista del e dal cielo.

Ma Sambati è un pittore di nuvole, più precisamente un «soffiatore di nuvole», alla maniera degli antichi maestri cinesi, modalità attraverso cui nelle opere resta la materia di cui le nuvole sono fatte, il mutamento che sono in grado di portare e l’imprendibilità dell’oggetto. Testa tra le nuvole è un’aspirazione che diventa modus operandi.

Sulla tela, il rilievo grumoso, in basso, di bianco lucente e morbido è contornato da piccolissimi frammenti di carta, bianca, dove appena appena un fremito di magenta s’inoltra nel cielo, per reggere la durata del giorno, spostandosi sul dorso del blu – in trasparenza.

Imago Hominis

Sulla carta un tratto nitido di matita, riporta l’eco di un possibile luogo sacro, quello dell’arte.

È ancora una semplicità NECESSARIA: l’imago hominis nel connubio – con l’humus – la terra – dal quale deriva.

In quest’opera, esplicitamente, la valenza assertiva e dogmatica dell’immagine s’infrange completamente – poiché l’imago è un’intima unione. Non rappresentazione, né fasto…

Ancora ci troviamo all’interno di un tema complessissimo, per tutte le opzioni che derivano dalla concezione e dall’uso delle immagini, nell’arte e nella comunicazione sociale.

Per economia, vorrei solo ricordare che nell’antica Roma, le famiglie gentilizie vantavano lo IUS IMAGINUM, cioè il diritto di esporre durante i funerali i calchi in cera dei familiari defunti, la cui immagine – certificava – l’antichità e l’importanza del lignaggio di appartenenza.

È sin troppo chiaro che la valenza dell’immagine per Sambati è ben altro. Si tratta semplicemente di – porre – il legame che intercorre tra terra e uomo; da qui la necessaria scelta dei materiali, delle CAUSE materiali, come le chiama Florenskij, correlate intimamente alle tecniche, nell’uso delle quali l’artista compie una scelta nient’affatto semplificabile, confrontandosi con il suo tempo e con la storia. Nulla è quindi indifferente nel processo che porta all’opera.

In Imago Hominis è l’umilissimo pugno di terra ma, che giace più in profondità – perché come dice Sambati: «Io i materiali me li vado a cercare» – ancora nutrito e custodito dai legami invisibili, che fanno ricca la possibilità dei semi. Una qualità di colore più intenso di terra, humus, basta a creare lo sfondo, l’appoggio, la dimora della figura, del corpo che ne viene fuori… di terra anch’esso.

L’eco di un rapporto tonale, modula la corrispondenza, la sacralità dell’arte si è schiusa.

Il cielo nel pozzo

Con il minimo apporto di colore si crea la circolarità sul foglio di carta, lasciando lo spazio agire.

Nel passaggio sulla tela, il riflesso, punto d’incontro del cielo nel pozzo, perde del tutto i suoi margini e non sappiamo quale sia il riflesso e quale il cielo. Siamo, anche noi che guardiamo, in quel punto in cui i cicli possono ricominciare, della vita e della morte.

Il NECESSARIO che si è depositato in queste opere, già l’ho detto ma lo ripeto, è il frutto di un lavoro immenso, di un’immensa poesia (il riferimento semantico è rigorosamente alla radice greca della parola).

L’omaggio a Valentini, in estrema sintesi è un atto di poesia necessaria che attraversa tre momenti di ogni umano, solcando il cielo e la terra, sino a sostare nell’incommensurabilità dell’arte.

In chiusa ci vogliono i poeti, come sempre
…Allora
ti sgombrasti e dissotterrasti dal caldo humus notturno
del tuo cuore i semi verdi
da cui sarebbe germogliata la morte: la tua
tua propria morte, corrispondente alla tua propria vita

Rainer Maria Rilke – da – Requiem per un’amica
ritorno a Florenskij –

“notiamo che i buoni pittori di icone in Grecia come da noi si chiamavano «zógraphi» ovvero coloro che dipingono la vita”.

Ho posto all’inizio la questione della rinominazione dell’opera, perché, forse, non possiamo NON pensare a Giovanni Valentini e Romano Sambati come zógraphi."